LA COLLEZIONE DI SCULTURE DI ELADIO DE LA CRUZ A GARACHICO

Dalla fine di giugno 2016 più di 50 opere dello scultore Tinerfeño Eladio de la Cruz sono esposte in modo permanente, in base ad una convenzione quinquennale (rinnovabile), nell’ex Convento di San Francesco a Garachico. Classe 1934, Eladio de la Cruz nasce a Santa Cruz di Tenerife da una famiglia modesta; la passione precocissima per le arti lo porta a seguire gli studi artistici: Escuela de Artes Aplicadas y Oficios Artísticos di Santa Cruz, quindi l’Escuela Superior de Bellas Artes, da poco inaugurata a Santa Cruz. Ne esce professore, consegue la cattedra di scultura alla Scuola di Arti Aplicate che lo aveva visto studente e, quando all’Università della Laguna apre la Facoltà di Bellas Artes, comincia ad insegnarvi. Continuerà a farlo per più di 50 anni, in parallelo ad una intensa attività artistica: le sue opere si trovano in musei e gallerie pubblici e privati nazionali ed internazionali, così come numerose sue sculture decorano piazze, parchi e monumenti nell’intera Tenerife. Le sculture esposte a Garachico svolgono tematiche differenti, ma accomunate da una medesima tendenza: nei temi della maternità e della famiglia, dell’umanità e della sua trasfigurazione attraverso l’esperienza del dolore, della sofferenza e della morte, di una gioia di vivere che si esprime nella bellezza, nella danza, nell’amore, è evidente la ricerca di un valore assoluto del contenuto che l’opera vuole esprimere, superando il soggetto contingente. È l’essere umano nella sua completezza di corpo, mente ed emozioni quello che Eladio de la Cruz esprime nelle sue opere.

Nell’ampio nucleo esposto a Garachico questo aspetto si impone in tutta la sua essenza di ricerca costante: se infatti l’assenza delle datazioni delle opere è indubbiamente una carenza nel corredo didascalico troppo essenziale, ha tuttavia il merito di evitare una lettura cronologica ed “evoluzionistica” della produzione dello scultore, permettendo al visitatore di abbracciarne senza condizionamenti la totalità e l’intima coerenza e di apprezzarne maggiormente la poesia e la forza emotiva che sprigionano dalle sculture. La bellissima, struggente coppia di amanti che incontriamo salendo lo scalone monumentale, ad esempio, racchiude nel tratto essenziale e nelle forme scarne e quasi scarnificate dalle profonde ombre scavate l’essenza di un sentimento che dalla sofferenza più profonda trae la propria forza; la posizione delle mani di entrambi, riprendendo l’immagine tradizionale di Adamo ed Eva dopo il peccato, è sufficiente ad evocare nello spettatore, anche solo a livello inconscio, un ventaglio di emozioni che si rinnovano poco oltre, davanti ad una delle più sconcertanti “Maternità” che mi sia capitato di ammirare: madre e figlio condividono, oltre ai corpi spigolosi dalle superfici scabre, un’espressione di straordinaria intensità, eppure così indecifrabile, oscillante com’è fra la sensazione di una gioia inesprimibile e di un altrettanto inesprimibile dolore. Una scultura che “parla” allo spettatore, con il quale intesse una relazione in cui l’elemento discriminante è lo stato d’animo dello spettatore stesso.

Serenità inequivocabile, al contrario, trasmette la delicatissima “Famiglia” marmorea in cui non a caso i volti – e dunque le espressioni – sono ridotti a semplici ombre sulle superfici polite e lisce. La profonda serenità della vita famigliare è comunicata solo dalla linea curva e chiusa, infinita, che ripete nelle due forme maschile e femminile il medesimo andamento parallelo; le gambe incrociate e le braccia del giovane uomo accolgono come in un nido le medesime gambe incrociate e le medesime braccia – solo più piccole – della donna, che creano a loro volta un nido più piccolo, ma altrettanto accogliente in cui trova posto una bambina sdraiata, che nella posa completamente “aperta” manifesta tutta la serena sicurezza che quel duplice nido le assicura. L’opera a mio parere è un’interessante testimonianza dell’influsso di Henry Moore sull’artista tinerfeño in una fase in cui la forma, che non abbandona mai l’impronta figurativa, si semplifica e si confonde con la linea in una ricerca costante di rapporto fra pieni e vuoti.

Straordinarie, nella loro ricerca quasi boccioniana di dinamismo delle forme nello spazio, le due bellissime figure danzanti senza testa, le cui membra fuse e le vesti svolazzanti richiamano la profonda cultura artistica dell’autore, evidente anche nei riferimenti a De Chirico delle tre figure (“Tre Grazie?”) con le teste a manichino che si rifanno al periodo surrealista del pittore italiano.

Merita assolutamente una visita questa bellissima collezione di opere di Garachico, per godere di qualche momento di pura bellezza che, nel contempo, permetterà di sondare le profondità spesso inespresse delle nostre più intime emozioni. 

Laura Carlino, EvocArte Art Gallery – Los Gigantes (Tenerife)