Da William Shakespeare ad Isaac Newton: gli inglesi pazzi per il vino canario

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I rapporti sociali ed economici tra Canarie e Regno Unito sono profondamente radicati nel tempo. Non solo il turismo, fenomeno moderno, ma anche e soprattutto il commercio, nel corso dei secoli, ha legato indissolubilmente l’arcipelago all’isola britannica. In particolar modo il vino canario era molto in voga e apprezzato in Inghilterra nel XVI e XVII secolo. Illustre estimatore fu William Shakespeare, che per voce del personaggio di Sir John Falstaff (Enrico V) ne fa decantare le doti: “You are not Young, no more am I/There’s sympathy: you love sack/And so do I”. Nella sua opera, Shakespeare usa i termini “sack” e “canary” in modo insistente, anche se non è ben chiaro cosa fosse il “sack” all’epoca.

È lecito supporre che si trattasse di Malvasía, il vino maggiormente prodotto nelle isole canarie a quel tempo, ma il drammaturgo non ne fa mai riferimento esplicito. Il termine “sack”, rimanda in genere ad un vino bianco liquoroso, prodotto principalmente in Spagna e, appunto, alle Canarie, che oggi non esiste più. Il termine attualmente esiste solo nella denominazione del “Dry Sack Sherry”. L’origine del termine non è del tutto chiara, c’è chi dice derivi dal francese “sec”, chi invece sostiene dal termine spagnolo “sacar”, riferito al vino che veniva “tirato fuori” ovvero esportato all’estero. Generalmente si anteponeva al termine il luogo di produzione, esisteva quindi un “Canary Sack”, piuttosto che un “Malaga Sack” o un “Serris Sack” (dalla città di Jerez). A partire dal XVII secolo, il termine “Sherry” sostituirà definitivamente la parola “Sack”.

Comunque la si voglia vedere, il vino canario raggiunse grande popolarità in Inghilterra proprio grazie alla “promozione” che ne fece William Shakespeare, un vero e proprio marketing ante litteram. Ma Shakespeare non fu l’unico illustre inglese ad amare il vino canario. Anche Isaac Newton, brillante scienziato, nonché padre della meccanica classica, si perse nella passione per le uve canarie. Passione non priva di conseguenze: come spesso succedeva all’epoca, il vino poteva generare un problema di salute tra i ricchi e benestanti che ne facevano uso: la gotta.

Questa patologia si manifestava prevalentemente tra le classi sociali agiate, perché bere vino nell’Inghilterra dell’epoca era questione per poche tasche. Secondo uno studio realizzato negli Stati Uniti, anche l’artrite di cui soffriva Newton sembrerebbe dovuta ad un eccessivo consumo di vino. Non tanto del vino in sé, quanto per la qualità delle botti che lo conservavano. Per rendere le botti più resistenti ai lunghi viaggi, si provvedeva a rinforzarle con il piombo, sia sulle pareti laterali che sul coperchio. La stessa cosa succedeva con il vino proveniente da Madeira.

La percentuale di piombo presente nei vini canari e di Madeira sarebbe stata pari a 5 o 10 volte i livelli riscontrati attualmente (fonte abc.es). Ma è ormai risaputo che Newton si dedicò anche all’alchimia, ed uno dei suoi maggiori “sforzi alchemici” era volto al tentativo di trasformare il piombo in oro.  Il metallo era quindi ben presente nelle abitudini e nella gesta quotidiane dello scienziato inglese. Scoprire e sperimentare era per Newton più importante che occuparsi della sua salute.

Una volta mise intenzionalmente un ago nella sua cavità oculare, solamente per acquisire conoscenza sulle proprietà della luce e approfondire gli studi di ottica: “Ho fatto un punteruolo e l’ho messo in mezzo al mio occhio”. Chissà se per farsi coraggio, prima di pungersi l’occhio, avrà bevuto prima un po’ di “canary sack”?

Francesca Passini

Sitografia: abc.es; azreazure.com; canarywine-malvasiacanario.com; huffingtonpost.it; nationalgeographic.it;