Il singolare caso dell’Italia. Diritto di sangue, diritto di suolo

Il singolare caso dell’Italia. Diritto di sangue, diritto di suolo

Una cosa che, negli anni del mio girovagare, mi ha sempre colpito, è il fatto che nei paesi a tradizione immigratoria (fondamentalmente quelliitaliani-nel-mondo-generazione-emigranti sul territorio americano), vigesse prevalentemente lo “Ius Soli”, mentre in quelli di storica emigrazione, per contro, lo “Ius Sanguinis” (per esempio i paesi dell’Europa occidentale, dove però si sta diffondendo sempre più spesso anche lo Ius Soli , mentre in Russia e nei paesi dell’Est europeo si applica esclusivamente lo Ius Sanguinis). In realtà, correndo il rischio d’incorrere nelle terribili considerazioni “fai da te”, è facile immaginarsi che quei popoli che sono emigrati in un territorio, abbiano voluto esserne parte e, una volta creati i governi, abbiano determinato condizioni e requisiti per considerarsene cittadini, condizioni e requisiti che erano strettamente legati alla conquista e al possesso della terra. Altrettanto vero è che chi arriva in un territorio, ne ha indubbiamente lasciato un altro. Nell’abbandonarlo, spesso ha dovuto conoscere la nostalgia, sia per la terra, ma anche e soprattutto per la famiglia. La famiglia come senso di appartenenza, come istituzione, come strumento di identificazione. Per alcuni popoli più che per altri, la famiglia sembra rappresentare quel legame che, al di là di barriere temporali e spaziali, è l’unica costante, l’unico appiglio alla propria identità, in senso esistenziale, ma anche giuridico.

Quello che però ignoravo, fino a poco tempo fa, è che il caso dell’Italia – dove vige lo “Ius Sanguinis” – è diverso da tutti gli altri. Dalla seconda metà dell’800 e fino alla crisi del 1929, l’Italia è un paese di emigranti. Circa 30 milioni di persone lasciano il paese, distribuendosi per il mondo. Naturalmente, anche altri popoli hanno lasciato massicciamente il loro paese, ma la normativa che l’Italia ha prodotto in merito alla emigrazione dei propri cittadini è forse unica al mondo. In primo luogo, non fissa limiti generazionali per ottenere la cittadinanza dei loro discendenti, secondo i criteri dello “Ius sanguinis”.

Di fatto, chi ha sangue italiano, ha diritto ad ottenere la cittadinanza italiana. Si tratta ovviamente di una metafora sulla biologia del sangue, ma non fissa limiti come hanno fatto altri paesi europei, che stabiliscono di norma due generazioni, passate le quali, non è più possibile richiedere la cittadinanza. Tantomeno definisce parametri sul grado di parentela: può essere un bisnonno o addirittura un membro ancora più lontano nell’albero genealogico della famiglia.

Il “donatore” di nazionalità genera una catena di legami umani, un confluire di ricordi, sofferenze e speranze, che portano infine ad un beneficiario.

Colui che riesce a portare a termine la pratica, riceve la cittadinanza e di conseguenza il passaporto. Ma la Repubblica Italiana è andata addirittura oltre, rispettando a pieno lo spirito costituzionale della “rappresentatività”. La Legge 459 del 2001 consente di eleggere parlamentari nelle circoscrizioni estere, create appositamente per questo scopo.


Vengono eletti parlamentari che risiedono all’estero e che partecipano ai lavori delle due camere. A questa realtà si affianca quella di alcuni organismi come per esempio i Comites, che sono organizzazioni locali, presenti in ogni circoscrizione consolare. Il “Sistema Italia”, diventa quindi più ricco, e complesso, ma anche più macchinoso e, a volte, alquanto farraginoso. Basti ricordarsi di tal Luigi Pallaro, argentino di origini venete, eletto Senatore nel 2006 dagli italiani che vivevano in Sud America. Il suo voto fu decisivo per la nascita del secondo Governo Prodi. Quando nel dicembre 2007, ritirò il proprio sostegno, contribuì in modo decisivo alla caduta dello stesso governo che aveva aiutato a far nascere. Forse, alla luce di questi ricordi, certi siparietti a cui assistiamo nell’istituzionalità italiana all’estero, acquistano di nuovo significato.

Interessanti sono le considerazioni del sociologo argentino Francisco Tosi: “tutte queste norme furono pensate per generare un’articolazione e una dinamica tra coloro che sentono…il richiamo della “Italianità”, tanto da avviare le pratiche per ottenere la cittadinanza italiana, e quegli italiani nati e residenti nella stessa Italia. Questo accade perché non è stato ancora possibile generare un modello comune tra tutte le persone che hanno la cittadinanza italiana e la loro identificazione con la rappresentatività che questo documento consente” (tiempo.hn/opinion-de-francisco-tosi-los-italianos-en-el-exterior/) Nella ricerca di un modello comune, l’intercambio tra i discendenti degli italiani e gli italiani nati oggi in Italia, ha spesso dei risvolti toccanti. E ancora non si è parlato di quegli italiani di recente emigrazione, che per caratteristiche rappresentano un’altra categoria, “a sé stante” e indubbiamente più “benestante” di coloro che emigrarono nelle traversate atlantiche. La loro nostalgia non è straziante, ma la loro consapevolezza di italiani all’estero cresce ogni giorno. Ciò che si è lasciato, assume forme nuove, man mano che si allontana: non è più quotidiano, ma passato. Per fortuna, oggi, l’Italia dista solo un paio d’ore d’aereo.

Ma tra i figli di coloro che non poterono più tornare a casa “per le feste”, si osserva sempre più spesso l’esigenza di ottenere la cittadinanza non solo per fino strumentali, ma per una necessità emotiva, per il bisogno di riavvicinarsi alle proprie origini. Si tratta di qualcosa che ne completa l’identità. Molte istituzioni, in Italia e all’estero, stanno lavorando per costruire quei binari sui quali far scorrere l’Italianità, cercando di coinvolgere più attori possibili, e fedeli alle intenzioni dei legislatori che vent’anni or sono diedero vita alla legge 459 del 2001. Molto è stato fatto da allora, e molto c’è da fare, ma il cantiere, ormai, è avviato.

©Riproduzione riservata – Francesca Passini

(foto vita.it)