Gran Canaria: Imbalsamazione nelle antiche società aborigene

Gran Canaria: Imbalsamazione nelle antiche società aborigene dell’arcipelago canario

l primo ad informarci sulla pratica dell’imbalsamazione nel mondo aborigeno preispanico fu Diogo Gomes di Sintra negli anni ’80 del 1400, quando mancava ormai poco per la definitiva conquista dell’arcipelago da parte della monarchia spagnola; era stato, questo navigante portoghese, anni prima nelle Canarie e costituisce, pertanto, una fonte diretta per il tema che stiamo esaminando; infatti, ci racconta di come veniva estirpato al cadavere del Mencey il suo intestino (mettendoci al suo posto bastante burro) che un aborigeno, poi,(lanciandosi in mare in una sorta di suicidio rituale) si incaricava di consegnarlo alle acque più profonde concepite come un ponte collegato col mondo degli Antenati. Ci racconta, ancora, di come il Mencey venisse depositato in una grotta, mettendoci al corrente di un costume (almeno per me) incomprensibile: dopo un anno dalla deposizione, se il cadavere continuava a mantenere l’aspetto di quando il Mencey era vivo, veniva celebrato un banchetto pubblico e, subito dopo, il corpo imbalsamato finiva… gettato in mare!

 

Forse, questa usanza spiegherebbe il fatto (emerso dalle analisi più recenti) che il corpo imbalsamato più antico che si conosca in Tenerife risale al 400 d.C, moltissimi anni dopo (stranamente!) dell’arrivo sulle isole di queste popolazioni africane d’origine berbera (cosa sulla quale c’è ormai, fra gli studiosi, accordo quasi unanime); insomma, Diogo Gomes comunica ad un’Europa, ormai lanciata con portoghesi e genovesi in testa verso nuove rotte e nuovi orizzonti, il fatto inaudito che su queste isole remote di sempliciotti pastori transumanti ancora immersi (almeno negli aspetti della loro vita materiale) nel Neolitico… SI IMBALSAMAVANO I DEFUNTI!

imbalsamazione-canarie-mummie

Ma chiariamo! Le indagini attuali ci permettono di dire soltanto che la pratica dell’imbalsamazione vigeva in Tenerife e Gran Canaria, ma non sulle altre isole; e che la pratica stessa differiva, pur presentando alcune indiscutibili somiglianze, dal processo di mummificazione operante nell’antico Egitto; inoltre, le stesse indagini stanno confermando quello che già le fonti raccontavano e cioè che l’imbalsamazione riguardava soltanto l’aristocrazia della società aborigena.

A questo punto sappiamo che il termine esatto per definire il processo di imbalsamazione presso gli aborigeni canari è “MIRLADO” e che l’altro termine (corrispondente a quello di “MUMMIA”valido per l’antico Egitto) sarebbe “XAXO” (noi leggeremmo subito “sasso” e, paradossalmente, colpiremmo nel segno dal punto di vista semantico!); “XAXO” (da pronunciare in spagnolo “jajo”, aspirando) significa un cadavere irrigidito, disseccato e ben conservato; chi entra in questi dettagli è fra Alonso de Espinosa (un religioso che scrive le sue cronache sulle Canarie verso la fine del 1500), il quale, dopo aver descritto il processo di eviscerazione, ci informa che il cadavere veniva esposto al sole (e rigirato continuamente) per almeno 15 giorni (mentre in Egitto erano almeno 70 con trattamenti chimici alquanto differenti) fino a diventare un…”xaxo” (insomma, un morbido sasso!).

 

Non bisogna pensare che la tecnica del “MIRLADO” fosse uniforme nello spazio e nel tempo; infatti, si usavano tecniche differenti fra le due isole e, nella stessa isola, tecniche ancora differenti in relazione allo status sociale del defunto, trattandosi (come abbiamo già capito) di una società aborigena rigidamente piramidale.

Ma, attenzione! Gli aborigeni canari non SEPPELLIVANO affatto i loro morti (insomma, non li inumavano), ma li DEPOSITAVANO (imbalsamati e non) in grotte funerarie ben separati dal  terreno, avvalendosi a questo scopo di materiali vari (vegetali, tavoli di legno…); in alcuni casi i “xaxo” venivano depositati (appartenendo, ovviamente, alla nobiltà) in un tronco già svuotato di pino canario come si può vedere nel piano superiore del Museo Canario, ubicato nel “casco historico de la Vegueta”, il quartiere dove nacque storicamente Las Palmas de Gran Canaria.

Non vi sembra che la separazione dei propri defunti dal terreno debba implicare una concezione sacra del corpo umano? A differenza dell’Antico Egitto, non sappiamo nulla dei significati religiosi sottesi al rituale dell’imbalsamazione, dato il carattere violento assunto dalla conquista spagnola che, di fatto, finì col distruggere ogni cosa del mondo aborigeno! Mondo da considerarsi, invece, portatore di valori riconoscibilissimi di civiltà, pur nell’ambito di una vita materiale scandita ancora (anche per un complesso di limitazioni dettate dalle condizioni di completo isolamento in cui queste popolazioni  vennero a trovarsi) dai ritmi di un Neolitico sorprendentemente residuale.

 

Gianni Galatone lucreziocaro@hotmail.com